Reggio Calabria: trovato il tempio dove S. Paolo predicò per la prima volta
lunedì 26 novembre 2007
Secondo documenti del VII-VIII secolo, l’arrivo di San Paolo a Reggio, testimoniato dagli Atti degli Apostoli, avvenne in quel luogo proprio durante le feste in onore di Artemide Fascelide. In quell’occasione l’Apostolo avrebbe chiesto di potere predicare l’evangelo di Cristo agli abitanti. Richiesta esaudita, ma a una condizione: il tempo a disposizione di San Paolo sarebbe stato scandito da una candela posta sopra una colonna rotta del tempio.
Il santo, quindi, avrebbe potuto parlare alla folla solo fino a che la candela non si fosse consumata. Finita la cera però, secondo la tradizione, avrebbe preso fuoco la colonna, per permettere a San Paolo di continuare a parlare. Tant’è che, ancora oggi, nella Cattedrale di Reggio Calabria si conserva la colonna bruciata che avrebbe consentito la predicazione di Paolo e la creazione della prima chiesa in Italia, sottoposta a Stefano Niceno, poi morto martire, primo vescovo della città dello Stretto.
Ora, l’edificio che ospitò San Paolo sembra essere riaffiorato dalle sabbie che ricoprono il fondo del mare a una trentina di metri dalla spiaggia calabrese, nell’area indicata da tutte le fonti storiche. Un edificio antichissimo che ha attraversato i secoli.
Secondo la tradizione, l’oracolo di Delfi disse ai greci, guidati da Antimnestos, o Arimnestos, di fondare la nuova polis in Italia alla foce del fiume Apsias, accanto al Pallantion. La nuova polis avrebbe mantenuto il nome di Rhegion, datole da Iokastos, figlio di Eolo, che l’aveva fondata subito dopo la guerra di Troia. Ed è per questo che dopo 3000 anni la città mantiene ancora il nome di Reggio.
Il tempio di Artemide, posto vicino alla tomba dell’ecista mitico della città, Iokastos, era situato alla base del Promontorio Artemisio, divenuto poi Punta Calamizzi. Il promontorio era la fonte della ricchezza di Reggio, perché proteggeva il porto della città dai venti dei quadranti meridionali, pericolosi per la navigazione nello Stretto. Situato a sud della città, ospitava, in periodo bizantino, il monastero di San Nicola di Calamizzi e la chiesa di San Giorgio Drakoniaratis.
La vicenda del promontorio di Calamizzi ha una fine dovuta all’incapacità progettuale degli uomini del ’500. Reggio, dominata dagli spagnoli, aveva la necessità di difendere l’importante porto (gli unici due porti naturali della Calabria erano Reggio e Crotone) dalle continue scorrerie dei turchi. Il porto era ancora difeso da una antica fortificazione, ma il Cinquecento aveva visto crescere a dismisura la potenza dei cannoni: come in tutte le città marittime del Regno di Napoli si sentiva la necessità di costruire un Castel Novo per ospitare le batterie di artiglieria. A Reggio lo spazio per edificare una tale fortezza non c’era, così si pensò di deviare il corso del fiume Calopinace verso sud, costruendo due enormi argini, che ancora oggi sussistono, per edificare il forte nella ex foce della fiumara. Il progetto iniziò nel 1547, ma solo dopo pochi anni il cantiere si dovette fermare. Nessuna fonte spiega il perché ma, poco dopo, Punta Calamizzi sprofondò in mare. Di fatto, la deviazione del corso del torrente, molto probabilmente, ha minato le fragili basi del promontorio, che non resistette alla forza delle correnti dello Stretto.
Fin qui la storia. Arriviamo fine del 2005, quando Carmelo Santonocito, un edicolante con la passione per i classici, inizia a studiare antichi testi e ricostruzioni, nell’intento di scrivere un romanzo storico (successivamente pubblicato da Falzea editore) sul governo del tiranno Anaxilaos, alla testa di Reggio Calabria nella prima metà del V secolo avanti Cristo. Per fare un lavoro puntuale Santonocito si consultò col professore Daniele Castrizio, archeologo e docente di numismatica all’Università di Messina. La necessità di accuratezza storica innescò una serie di studi e ricerche. Le testimonianze letterarie e archeologiche si trovarono convergenti in un punto: il mare di fronte alla spiaggia di Calamizzi. Per investigare il sito, si chiese allora la collaborazione di un amico funzionario di polizia, Gianni Capolupo, e di un collega di questi, Vincenzo Borrelli, istruttore sommozzatore. In questo contesto nasce la curiosità di andare a scandagliare i luoghi della narrazione. A circa 30 metri dalla costa, a sette-otto metri di profondità, in un sito occupato fino a pochi mesi or sono da una vera e propria foresta di poseidonia, e per giunta sepolto sotto quasi mezzo metro di sabbia, i sommozzatori scoprono un crollo di notevoli dimensioni, con massi in pietra arenaria squadrati, a volte con tracce di modanatura, basi e rocchi di colonne, che occupano una superficie dal diametro di circa un’ottantina di metri.
Si tratta di un sito riconducibile a strutture pertinenti al santuario di Artemide Fascelide. Ipotesi confermata, secondo Castrizio, da un elemento architettonico pertinente alla trabeazione di edifici pubblici. Una trave in pietra con triglifi e metope decorate, di epoca greco-romana. Insomma: l’architrave di un tempio o di un edificio collegato a un santuario. E ora si attende la conferma dei lavori che saranno avviati dopo la denuncia alla sovrintendenza.
Nella foto il Duomo di Reggio CAlabria dove è custodita la colonna della legenda di S. Paolo
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postato da Bernardino F.L. Cardenas; alle 11:27 PM,