www.montebelloblognwes.com - Tutto quello che accade a Montebello Ionico e ... molto altro ancora.

 



Considerazioni studentesche e artigiane sulla sorte del compagno Pedro paragonata ai personaggi storici marxisti e premarxisti.

Prendo questa volta la penna in mano, per fare lo scrivente, parola che ben si adatta a chi come me ha fatto e continua a fare l'artigiano delle lettere; parola grossa è infatti quella di scrittore, che trova spazio nell'ampio vocabolario della cultura e che si sposa con coloro che hanno compiuto alti ed eruditi studi, i quali, di mestiere, si creano un senso della vita di stampo filosofico. E, appunto, in qualità di scrivente vorrei soffermarmi e sproloquiare su un fatto di storia del nostro tempo. Si badi bene che in questa sede io, intendo farlo non nelle vesti di storico, poiché pur essendo la storia maestra di vita certe volte essa si presta a strumentalizzazioni politiche, vestendo le maschere di cera degli storiografi del momento. La storia, bella scienza, ma se fatta con pura verità! Esamino inoltre punti che non hanno nulla a che vedere con la politica, anche se si sa che essa vien fuori perfino quando si compra un giornale o uno spillo. Le mie considerazioni, che premono dentro la mia testa in questa notte solitaria dell'entroterra calabrese, sono solamente quelle di un lettore di diligenza media alla ricerca della verità. E in un certo qual modo dipano in righe (spero) il più possibile chiare pensieri, paragoni e tesi che possano condurre là dove io desidero: alla realtà vera delle cose e ai perché della storia insensata. La verità è una parola importante, essa meriterebbe in questo caso di essere appaiata con il sostantivo "coerenza" facendo di entrambi il filo conduttore di questo argomento serio e razionale. Terrei inoltre a precisare, che vista la mia giovane età e il ruolo di studente che ricopro presso la società, vorrei che queste righe fossero considerate come uno dei tanti temi che spesso si danno a scuola e, ben consapevole sono di non avere con queste parole manie di grandezza, né pretendo di intrattenere con il lettore una lezione universitaria. Anzi desidero che queste pagine siano considerate come un esempio di manifestazione del libero pensiero, che, al di là del bene e del male, ancora lo stato, seppur con la sua democrazia molto spesso fallace, tutela e garantisce. Fatta questa dovuta premessa, di fondamentale importanza per l'argomento in questione, mi accingo a discutere.

Sono nato nel 1985, anno in cui si avviava lentamente al tramonto un PC fatto di uomini da politburo e da persone comuni, eterni credenti delle tesi marxiste e gramsciane, un PCI fatto e ingrossato nelle fila da gente di ceto basso che vedeva nell'uguaglianza sociale l'imperativo categorico cui era impossibile derogare. Una uguaglianza che non bastava fosse solamente formale ma necessitava di caratteri sostanziali. Ho visto la caduta del muro di Berlino in diretta televisiva, avendo solo quattro anni non capivo perché tanta rabbia verso una banale costruzione. Il simbolo di tutta la guerra fredda si sgretolava e solo leggendo sui libri appurai la versione dei fatti. Ho assistito alla fine della prima Repubblica, alla svolta della Bolognina e alle lacrime di Achille Occhetto e visionai poi, il grande Nanni Moretti con il film "palombella rossa". Ho cercato di apprendere come meglio ho potuto tesi trite e ritrite di tutti i politologi e politici del momento. Però molto spesso la storia diventa scienza oltre misura e si annulla essa stessa. Quando la razionalità surclassa le emozioni si rischia spesso di fare i conti con i numeri e non con le sorti dei singoli, la qual cosa è molto grave, anzi molto più di grave, devastante direi. Faccio per essere più chiaro un esempio: un conto è dire che i nazisti hanno ucciso otto milioni di ebrei, altra cosa è invece dire che il regime hitleriano portò alla fuga il cittadino Caio, o addirittura alla morte per stenti dentro un lager il bambino Tizietto. Ho cercato,quindi laddove vedevo numeri, di pensare alle storie singole di privati cittadini, il che, a mio modesto avviso, fa della storia un argomento molto più romantico e profondo. Chi era Caio? Che cosa ha fatto egli? Perché quella fine? Che cosa sarebbe successo se tutto non fosse accaduto? Un soldato al fronte non è solo carne da macello da inserire come un pezzo degli scacchi in un bollettino di guerra. Un fante può essere un ragazzo di ventuno anni, come me, sottratto all'amore del mondo e alla vita e costretto a uccidere per non essere ucciso a sua volta. (Ai più nostalgici di sicuro verrà in mente "la guerra di Piero" di De Andrè). A ventuno anni non si sa amare una donna figuriamoci se si riesce ad uccidere un uomo! I numeri della storia questo devono essere e nient'altro. I conti, i bollettini, lasciamoli alla statistica, all'economia, agli addetti al censimento. Ma la storia no! La storia deve andare oltre. "La storia siamo noi, nessuno si senta offeso, siamo noi questo prato di aghi sotto al cielo! La storia siamo, noi e nessuno si senta escluso. La storia è la gente perché è la gente che fa la storia. La storia dà torto e dà ragione. La storia mette i brividi perché nessuno la può cambiare". Questo cantava Francesco De Gregori, riferendosi sempre ad una storia coerente e detta con verità, perché "la storia non si ferma davvero davanti a un portone". Ritorniamo al 1985 un anno pieno di fatti, alcuni conosciutissimi altri meno, ma non per questo destinati a essere sepolti, sottovalutati o perfino censurati, anzi. Il 1985 è l'anno in cui viene tolta (in circostanze poco note) la vita al compagno Pedro, al secolo il compagno Walter Greco. Ho appurato la sua storia giorni fa, leggendo un piccolo articolo che qualcuno per spirito di ricerca e coscienza morale ha cercato di rendere pubblica. La cosa più errata da fare in questo frangente è parlare del compagno Pedro con toni campanilistici o politici, al contrario viene un salutare impulso di scrivere su Pedro in termini democratici, libertari e soprattutto umani. Lo dico perché potrebbe sembrare che la storia di questo personaggio sia venuta fuori per celebrare le origini di un condottiero paesano o, da qualche nostalgico dei giorni in cui si cantava "bandiera rossa". In realtà, sempre per la difficile questione di quella verità cercata con tanta insistenza, la storia di Walter doveva comunque venire fuori. Vi è di mezzo il rispetto della vita e delle idee di libertà di chi come lui hanno vissuto o hanno finito di vivere in quei giorni, giorni di dolore e lotta, momenti in cui la storia con doloroso parto faceva venir fuori eventi destinati a far discutere. Non si tratta di elogiare un condottiero, anche perché di elogio non si può parlare, specialmente nei confronti di chi scompare in circostanze misteriose e drammatiche. Nel momento della morte non vi è nulla che possa essere elogiato, vi è solo il momento della riflessione e la commemorazione degli esempi di una vita vissuta in prima linea. A questo punto, dopo aver letto la storia di Walter mi pare logico confrontare le sue vicende con quelle di un altro personaggio storico a lui affine nelle idee: Antonio Gramsci. Quando si condannò al confino Gramsci, con quella condanna che poi l'avrebbe condotto ad una morte per stenti e fatiche, prima che il processo si concludesse, gli uomini del regime dissero espressamente che bisognava impedire a quel cervello di funzionare. E così in parte fu, ma il cervello di Gramsci, ancora prima di morire, funzionava ed anche bene. Uno dei più grandi intellettuali di sinistra venne fatto morire facendolo marcire in cella. L'uomo del popolo venuto dalla Sardegna con un bagaglio pieno di idee e un fisico gracile si spense, ma con dignità. Negò la piètà che il regime gli offriva, quell'offerta di morire tra le mura di casa, rifiutata da un Gramsci che aborriva ogni compromesso, ogni pietas che un regime liberticida per elemosina gli offriva. Gramsci ebbe la fortuna di essere ricordato e di prorogare post-mortem le sue idee da intellettuale. Pasolini infatti anni dopo scriverà il componimento di undici poemetti che aveva proprio per titolo "Le ceneri di Gramsci". Lo scopo dell'opera era portare il lettore di sinistra alla riflessione. Dopo i fatti di Ungheria il partito si era ritrovato allo sbando ideologico. Come reagire di fronte a un momento di crisi? Pasolini fece appunto appello alla coscienza del popolo, alla vera ideologia. Le ceneri di Gramsci rappresentavano la fine di un PCI oramai imborghesito, ma anche una spinta a riprendere l'esempio del politico sardo, un appello alla dignità per reagire al dominio della cultura di massa, dell'omologazione, per opporsi ad una dittatura del significato dettata da una classe borghese conservatrice e a priori contraria alle correnti progressiste. Gramsci motore ed esempio di un partito, Gramsci riabilitato con la nascita della repubblica. Il compagno Pedro ha una vita analoga per certi aspetti a quella di Gramsci. Stesso accanimento contro la sua persona e le sue idee, stessa tragica fine. Una sola e drammatica differenza li divide: l'onore della storia. Di Gramsci ne son piene le pagine di Pedro nemmeno una riga. Pedro tutt'al più rivive nel ricordo di qualche amico che con lui divise anni e vicende. Esser dimenticati è questo che mette più paura di tutto! Esser dimenticati anche quando vi è un'esistenza che meriterebbe di essere ricordata! La storia molto spesso confina nel dimenticatoio coloro che non hanno ragione, ma che nemmeno posseggono il torto. Nemmeno la tragica fine che accomuna Gramsci a Pedro fa così paura come l'oblio. Morire per le proprie idee è gesto nobile che fa riflettere, un gesto da prendere in considerazione. Un esempio che ci spinge ad essere migliori con più forza, in modo particolare in questi tempi così sbandati fatti di parassiti senza dignità. Morire per le proprie convinzioni è martirio da ricordare! Morire di morte naturale è questione di democrazia; è essere uccisi per volontà altrui che diventa potere di disposizione in funzione antidemocratica. Mi sia concesso di ricordare un vecchissimo episodio dell'antica Roma Repubblicana, che per alcuni aspetti è analogo alle vicende di Pedro: il colpo di stato tentato da Lucio Sergio Catilina. Lucio Sergio Catilina ci è stato tramandato dagli storiografi della come un uomo dissoluto senza moralità né dignità. Dovetti aspettare le lezioni del professor Felice Costabile, docente di diritto romano presso la facoltà di giurisprudenza di Reggio Calabria, per avere una visione più chiara e meno cupa del truce rivoltoso Catilina. Un Catilina che prima cerca di portare avanti i propri progetti politici secondo le patrie leggi di una Res Publica romana oramai fittizia e in veloce declino, composta più da turbe clientelari che da plebisciti. Un Catilina che non sopportava e non si voleva prostrare ad un sistema allo sbando. Durante le elezioni per il consolato viene due volte sconfitto e battuto proprio da Marco Tullio Cicerone. Prima di approfondire Catilina nelle specifico, dobbiamo dire che già prima di lui i fratelli Gracchi avevano cercato di fare i progressisti dell'epoca, prima di finire assassinati, essi possono essere definiti come una specie di comunisti dell'era pre-marxiana e precristiana. (Malgrado proprio la stessa critica comunista ravvisò nel loro fallimento il fatto di avere sottovalutato la questione schiavista. Diciamo però che su questo punto gli storici marxisti peccarono un po' di ingenuità,non seppero infatti storicizzare il pensiero politico gracchiano e l'errore diventa ancora più grande se pensiamo che secoli dopo il cristianesimo, che pur predicava la fratellanza, si espose affermando l'impossibilità naturale di eliminare la schiavitù rimanendo solamente concepibile un comportamento "umano" verso il proprio schiavo.) Catilina, con un progetto politico che andava molto più a sinistra rispetto a quello dei fratelli Gracchi, venne sconfitto. Ma non per questo egli si astenne dalla lotta, anzi. Con un manipolo di uomini a lui più vicini tentò, quello che Cicerone definì in senato, un colpo di stato ai danni della salute della repubblica. In realtà ciò che aveva in mente Catilina, non era solo brama di potere, era quella che più tardi sarà definita una rivoluzione, una insurrezione armata. Anche se non era una sedizione di popolo, il quale preferiva le briciole dei grossi politicanti, era pur sempre un atto eroico. Il progetto che determinava i catilinarii a rischiare la vita era dei migliori:
Catilina fu seguito da intellettuali e straccioni, da vecchi progressisti gracchiani e mercenari.
Quando Cicerone in senato lanciò l'accusa contro di lui, stravolse da netto il programma dei catilinarii, infamandolo e calunniandolo. Il progetto non era quello che Cicerone volle far credere al senato! Vi fu ai danni di Catilina un processo inquisitorio pro-forma, con una sentenza già scritta. E la storia, si sa, è piena di condanne pre-confezionate. Catilina muore insieme ai suoi nelle battaglia di Pistoia combattuta contro l'esercito repubblicano, da quel momento ogni progetto pre-marxista finisce e per Roma saranno i secoli bui dell'impero. Catilina ottiene una morte onorata, una fine degna di un soldato rivoluzionario, per la storia sarà solo un nemico pubblico, un rivoltoso che congiurava ai danni di una repubblica che tutto era meno che in salute. Pedro e Catilina sono accomunati dalla stessa sorte. Pedro, che forse sognava di morire sulle barricate, ebbe una morte meno onorata. Stessi precedenti e stessa sepoltura della storia. Pedro diventa nemico pubblico di uno stato che identifica Marx con i soviet e i gulag, avversario di una democrazia che a molti piaceva imperfetta, perché più la democrazia si inceppa più il potere abusa e dirige a danno dei poveri. Egli era nemico di uno stato filoamericano per necessità e che doveva essere per forza ostile al colore rosso. Un nemico pubblico come il rivoltoso Catilina della Roma morente dei consoli. Adesso a questo punto preferisco fare un volo pindarico e analizzare differenze di termini che a me stanno molto a cuore, soprattutto quando si parla di stato. Molti, erroneamente o in buona fede, accostano e rendono quasi sinonimi le parole: stato, repubblica e democrazia. Alcuni, i più dotti, vedono in questa triade, la migliore struttura possibile del potere. Se pensiamo però a Pedro e ai suoi tempi, in realtà l'equilibrio così perfetto della triade viene meno e si trova a essere travolto dalla verità delle vicende. Vi era lo STATO, esso dominava con i suoi segreti, i suoi dirigenti, le sue alleanze internazionali. Una sorta di sovrastruttura che sembrava una sorta di "grande fratello" che si travestiva da pubblico bene, da pubblico interesse, da stato sovrano. Vi era la REPUBBLICA, figlia delle idee liberali, marxiste e centriste. Una repubblica figlia di una resistenza che molti consideravano tradita. Una repubblica fatta da una costituzione che predicava bene, ma razzola male. Vi era la democrazia che effettivamente democrazia non era, perché anche i padroni pur di sedersi ai palazzi del potere erano pronti a fare i comunisti del momento. Una democrazia fatta da "Dio ti vede Stalin no". Una democrazia dove ancora si dovevano elemosinare i diritti. In mezzo a tutto questo vi era l'Italia, fatta di idee e di gente di cuore, che viveva la politica così come si viveva una passione tutta propensa allo sforzo e al miglioramento comune. In mezzo all'Italia nera nel viso e rossa d'amore (così come cantava Rino Gaetano) ci stava Pedro che credeva nelle proprie idee così come Turati a proposito del socialismo (credo nelle idee del partito come i primi cristiani credevano nella vita eterna). Pedro sempre in prima linea. Pedro con un'unica colpa: essere rosso, e col rosso si sa, vi è sempre pericolo! Pedro muore così come sono morte anime rosse e cuori neri! Così come sono morti innocenti innumerevoli figli d'Italia. Pedro, onesto di partito, scompare. Vedete, a questo punto urge fare anche un appello a Gianpaolo Pansa, insigne giornalista, ma col vizietto dell'errore storico. Egli erra nel collocare solo ed esclusivamente il sangue dei vinti nel periodo della resistenza o della guerra. A Pansa si potrebbero muovere tante critiche e risposte. Si potrebbe iniziare col dire che la storia ha le stesse leggi della fisica, per cui ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria o forse peggio. Potrei continuare dicendo che la sua non è una ricerca storica, ma una ricerca che gioca sulla verità dei sentimenti umani, sulle sofferenze delle vittime e sui drammi personali di chi visse i giorni della Resistenza. Al solito una cosa è dire che la Resitenza fu lotta di libertà e un secondo Risorgimento, il che è verità storica assodata e indiscutibile. Altra cosa è dire che i partigiani uccisero anche per errore o sete di vendetta, il che non è la verità della storia, ma la particolarità del caso e degli eventi; sono più che altro vicende che non smentisco, ma che non possono essere giusta causa per invalidare il passato a colpi di spugna, le storie del sangue dei vinti ben si confanno per il diritto penale, per reati di violenza privata, vicende di drammi e sentimenti personali. A Pansa dal mio basso punto di vista potrei dire che il sangue dei vinti non è solo il sangue degli innocenti o dei fascisti "per caso" sotto la resistenza, il sangue dei vinti continua lungo una scia anche nella fase della prima repubblica. Ecco che allora, il sangue di Pedro è una storia da sangue dei vinti vista al contrario e in maniera speculare. Tuttavia si può cercare quanto più possibile di essere pluralisti e coscienziosi verso i rivolgimenti della storia che seminano vittime, e al massimo, si prova dispiacere per i caduti del caso. Per coloro che morirono facendo una scelta di matrice ideologica si può dire solo una cosa che purtroppo è verità cruda: è vero che la morte è una livella di Totò che tutto prende ed eguaglia, ma in questi casi ci sembra di dover dare ragione a Giorgio Bocca: "si può provare dolore, ma dire che le idee per cui morirono gli uni equivalgono alle idee per cui morirono gli altri significa stravolgere e dequalificare l'ordine delle cose". Pedro è morto da anni e mai più ritornerà. Ma da che parte stava Pedro? Pedro col pugno chiuso nelle manifestazione, ucciso dal mistero e dalla tragica fatalità. Pedro come il giovane Gobetti. Il grande filosofo Norberto Bobbio sul comunismo un giorno scrisse questo: "il comunismo è un grande ideale che percorre tutta la storia dell'umanità e che per ragioni storiche impreviste ed imprevedibili non ha trovato attuazione". Mi ritrovo nella frase di Bobbio che fa del comunismo una grande utopia politica, utopia perfetta in tutte le sue ricostruzioni teoriche e perfettamente coerente nel suo filo logico, ma che purtroppo non si può attuare per via delle impulsività umane e per quel difetto di impossibilità pratica che sovrasta l'uomo quando deve fare conti e progetti cercando di portare il paradiso in terra. Un comunismo alcune volte analizzato solo dal punto di vista statale e politico o economico e non invece dal lato in cui meglio si presta cioè: umano, filantropico e filosofico. Un comunismo di cui molti analizzano frasi distorte e avventate. Non si può negare che questa dottrina insieme al liberalismo abbia contribuito a elevare il mondo verso cammini sociali migliori e concordie civili. Pedro non era né teorico né ribelle era un uomo che voleva spingere la società verso il miglioramento e la concordia sociale. Pedro rivoluzionario che sfidava il mondo piuttosto che vivere per accondiscendere alle sue pretese. Pedro che sarebbe stato comunista anche senza il comunismo, come i fratelli Gracchi o Catilina o il Cristo stesso. Cristo che si configura ( e almeno a me piace vederlo sotto questa ottica e chiedo scusa ovviamente ai più ortodossi) come uno dei tanti rivoluzionari della storia, uno dei primi antiimperialisti (non si può negare che fosse antiromano e per la libertà dei popoli,se si considera poi che una delle tante interpretazioni dell'Apocalisse di Giovanni vede in essa un trattato politico e in codice contro la politica romana) dell'epoca civile, uno dei primi pacifisti. Cristo e tanti altri precorrono Marx! Il Marx sull'ideologia ha un ruolo solo di economista, il solo merito di aver fatto capire le leggi e i rischi del libero mercato, gli effetti della rivoluzione industriale sull'uomo. Il comunismo di stampo etico in realtà era già stato scritto, ed era arrivato in oriente con le dottrine di Confucio già prima di Mao. Il Pedro che la storia tramanda forse faceva parte di questo comunismo ed era lontano dai giochi di potere. Pedro senza colpe così come è senza responsabilità il Cristo abiurato dalle streghe e dagli eretici. A questo punto intendo terminare. La storia pietosa oggi ci restituisce Pedro, lui che era candidato a esser dimenticato. Viene a questo punto alla mente una frase di Arthur Schopenhauer su cui conviene riflettere alla luce di queste lunghe righe: "mentre la storia ci insegna che in ogni tempo avviene qualcosa di diverso, la filosofia si sforza di innalzarci alla concezione che in ogni tempo fu e sarà sempre la stessa cosa..." Il comportamento dei nostri tempi, dalla invenzione della scrittura fino ai nostri giorni, dà tristemente ragione al filosofo. L'uomo, il politico elevato e onesto, lo storico hanno il potere di sovvertire quel pensiero filosofico e pessimista, essi lo posson fare con l'arma della verità. Chiudo dedicando a Pedro le parole che Bobbio dedicò a Gobetti: "credeva in coloro che hanno sempre torto che hanno torto perché hanno ragione, nei vinti che non saranno mai vincitori perché costretti a perdere le loro battaglia contro i potenti del giorno..."

Principato Domenico
Assoluto_1985@libero.it
Nelle foto Pedro ed altri compagnial meeting europeo di Venezia 1981, Pedro ed altri compagni durante l'occupazione del condominio "Sereno" (Padova 1981)

Le fotografie provengono dal Centro di Documentazione Krupskaja (Bologna)

La storia di Pedro, unitamente a questo post può essere scaricata in formato PDF cliccando sull'apposito link dell'area download libri e racconti.

Etichette: , , , , ,

postato da Bernardino F.L. Cardenas; alle 12:07 AM,

0 Comments:

Posta un commento

<< Home