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SALINE: UN NUOVO SCENARIO DALLE CENERI DI UN FALLIMENTO

LE TAPPE DI UN FALLIMENTO

Saline Ioniche, a livello nazionale, rappresenta soprattutto il simbolo del clamoroso fallimento del disegno industrializzazione forzata della Calabria. E’ a tutti nota la vicenda vergognosa della Chimica Biosintesi, andata avanti penosamente per oltre trent’anni: lo stabilimento industriale avviato nel 1972 dal gruppo Liquichimica di Urini, su una superficie totale di 630 mq ed una dotazione di reti infrastrutturali, con un grande porto di servizio è morto sul nascere. Avrebbe dovuto produrre soprattutto bioproteine ma non è mai praticamente entrato in produzione ( solo sette mesi di attività) per la mancanza dell’autorizzazione del Ministero della Sanità, a causa della presunta cancerogenità dei suoi prodotti. L’industria ha occupato inizialmente fino a 405 unità lavorative, un numero di addetti poi progressivamente ridotto nel tempo, praticamente da sempre in Cassa integrazione guadagni, a parte un piccolo numero di lavoratori addetti alla manutenzione e alla guardiania degli impianti.Attualmente sono una decina gli “ultimi moicani” Nel tempo si sono sempre annunciati progetti di reindustrializzazione, puntualmente falliti. Nel tempo si sono sempre annunciati progetti di reindustrializzazione, puntualmente falliti. Negli anni novanta (1997), le strutture della Liquichimica sono state acquistate dal consorzio di imprenditori SIPI (Saline Ioniche Progetto Integrato, al prezzo di realizzo di circa 7 miliardi di vecchie lire Ma neanche questi nuovi proprietari, come già l’Enichem, riescono ad avviare il tanto strombazzato processo di deindustrializzazione. Sul campo restano solo idee: per esempio la riattivazione della centrale termoelettrica o il funzionamento del megadepuratore come servizio per i paesi dell’hinterland. Intanto, all’interno dell’impianto, si susseguono furti e saccheggi. Il responsabile della SIPI, Giovanni Zino, denuncia il ”profondo abbandono dello Stato a fronte di pressioni criminali,ingerenze esterne,innumerevoli ostacoli burocratici”. Ad inizio del 2004 si pone fine alla farsa: si smantella. Le apparecchiature ed i macchinari vengono, adeguatamente rivalutati, messi in vendita sul mercato dell’”usato industriale sicuro”. A curare il tutto viene chiamata la “Demont”, l’azienda specializzata con sede a Venezia-Mestre, che in precedenza si è occupata anche della demolizione degli impianti delle vecchie acciaierie di Terni. Ma non è ancora finita. A metà marzo 2004 i carabinieri del NOE irrompono nel sito industriale e sottopongono a sequestro preventivo l’intera area industriale della SIPI, in esecuzione di un provvedimento della Magistratura. Motivazione: l’accertata, elevata presenza di una enorme quantità di amianto, in evidente stato di friabilità, parte del quale stoccato all’aperto, sopra sacchi di farina fossile ed abbandonato al vento e alle intemperie. Successivamente l’area verrà dissequestrata, mentre l’inchiesta prosegue.

IL PORTO DI SALINE

Il porto di Saline concepito come porto funzionale all’area industriale, fu ultimato, seppure in forma ridimensionata rispetto al progetto originario, alla fine degli anni settanta. Abbraccia uno specchio d’acqua di 137 mila metri quadri ed è costituito da due moli per una larghezza complessiva di mt 840 e da una darsena con fondali di metri otto. Praticamente non è stato mai utilizzato, se non molto parzialmente. L’approdo, peraltro, è rimasto spesso insabbiato. La sua costruzione ha contribuito ad alterare la natura di un ampio tratto di litorale. I pescatori della zona hanno da sempre sollevato dubbi sulla conformazione dell’opera rispetto alle correnti.Ad inizio dicembre del 2003 il porto è ad un passo dall’essere cancellato dalle mappe nautiche:il molo di sottoflutto viene travolto e spazzato via dalle potenti onde marine sospinte da un forte vento di scirocco. Una striscia di cemento di circa cinquanta metri viene staccato e inghiottito dall’acqua. Piove sul bagnato.

LE OFFICINE GRANDI RIPARAZIONI

Sempre a Saline un altro clamoroso fallimento è stato quello delle Officine Grandi Riparazioni che

tante aspettative produttive e occupazionali aveva suscitato ma che ,ormai, sembra destinato allo smantellamento in mancanza di soluzioni percorribili o per meglio dire di volontà politica. Sorto nella seconda metà degli anni ottanta, ha comportato un investimento iniziale di circa 300 miliardi.Specializzato nella riparazione di locomotori elettrici è diventato inattivo causa la mancanza di commesse di lavoro da parte delle Ferrovie dello Stato.Residuale il numero di lavoratori attuale, peraltro in cassa integrazione guadagni, dei 1200 previsti inizialmente.

LA LAURA C

A cinquanta metri di profondità , nel tratto di mare prospiciente Saline Ioniche giace, con la prora rivolta a terra a circa venti metri di profondità la poppa verso il mare aperto a circa 50 metri,il relitto della Laura C. La motonave venne affondata nel 1941, mentre era diretta in Africa, da un siluro sparato da un sommergibile britannico. Sul relitto del cargo (150 metri di lunghezza, 20 mila tonnellate di stazza) vi erano, tra merci varie, anche 500 tonnellate di balistite, tritolo ed altri esplosivi. Tutto materiale destinato ai nostri soldati, in Libia. Parte del carico venne recuperato. Per molti anni la sua prua si erse fuori dell’acqua mentre il resto del relitto si inabissò lentamente a causa della continua erosione determinata dall’attività del torrente Molaro. Annualmente, nei periodi di piena, il torrente inondava la foce scavando il letto dove si adagiò il relitto ricolmo di fango e sabbia. Successivamente la parte prodiera, a causa del peso accumulato negli anni venne completamente inghiottita dal sedimento facendo sì che il pennone di prua fuoriuscisse dalla sabbia a circa 18 metri, mentre i castelli centrali del relitto fossero visibili dai 25 metri in giù. Il pennone di poppa e la cremagliera del timone, a tutt’oggi, rimangono ad una profondità che va dai 40 ai 54 metri, zona in cui la chiglia del relitto nasconde le eliche immerse nel limo del fondo. La Laura C assurge agli onori della cronaca, nell’aprile del 1995, quando i Magistrati con l’avallo del Sisde avanzano l’ipotesi secondo cui il materiale bellico contenuto nelle stive sarebbe stato intercettato ed utilizzato dalla ndrangheta per compiere numerosi attentati. Un deposito al servizio, secondo gli inquirenti dei clan del melitese. Si tirò in ballo la strage di Capaci e l’attentato di via d’Amelio (teorema poi rientrato). Successivamente, in anni più recenti. quello di Madrid e quello al Sindaco di Reggio Calabria. Materiale esplodente tipo Laura C fu ritrovato sotto il ponte delle OGM. Ipotesi suggestive ed inquietanti mai verificate fino in fondo. Sta di fatto che nel 1995 interviene una prima ordinanza della Capitaneria di Porto di R.C a che fa divieto a tutti di avvicinarsi al relitto che viene, per un lungo tempo, controllato a vista dalle forze dell’ordine. Si riaffaccia l’idea di recuperare l’esplosivo, stimato in 1500 tonnellate. Viene però scartata: “troppo complessa e rischiosa”. Nel 2001 il Genio Militare per la Marina decide, incredibilmente, di “neutralizzare l’esplosivo”,cementificando le quattro stive. Viene emessa a tale scopo da parte della Capitaneria di Porto l’ordinanza numero 7 del 6 marzo 2001,che raccomanda tra l’altro piuttosto burocraticamente, che nel corso dell’intervento vengano adottate “tutte le precauzioni necessarie ad evitare danni alle risorse biologiche ed al patrimonio ittico”. L’idea che la Laura C venga affondata una seconda volta sotto il peso di una colata di cemento non va assolutamente giù a Legambiente, all’Assessore all’Ambiente della Provincia( mai ufficialmente informata) ma soprattutto ai moltissimi sub che di quello che, per loro, era fondamentalmente un irresistibile “paradiso marino”, avevano continuato ad immergersi, sfidando l’ordinanza,con conseguenti sanzioni. Nasce un movimento spontaneo: “gli Amici della Laura C”. “Siamo assolutamente contrari - dichiarò nella circostanza Legambiente Sub - l’aggressione al relitto attraverso tonnellate di cemento è un' operazione inutile e dannosa che recherà un danno irreversibile ad un ambiente marino che andrebbe piuttosto tutelato e valorizzato”. E’ possibile intervenire senza una preventiva valutazione di impatto ambientale? Si chiama in causa il Ministero dell’Ambiente. Da Roma però arriva soltanto la richiesta alla Regione di valutare con attenzione l’incidenza dei lavori programmati “in prossimità dei siti di interesse comunitario denominati:“Capo d’Armi”, “Saline Ioniche” e “Fondali da Punta Pezzo a Capo d’Armi”. Ma non c’è nulla da fare. Nel gennaio 2002 da parte della società napoletana incaricata, la “Cormorano costruendo Srl”si avviano i lavori (durata prevista 150 giorni). “Lavori eseguiti con i piedi”, criticano molti che sono andati a curiosare. Ben lontano dai risultati sperati. Nel maggio dello stesso anno la direzione del Genio Militare per la Marina di Messina comunicava l’ultimazione dei lavori. Il Ministero della Difesa nel marzo 2004 “stacca” il certificato di collaudo dell’opera. Costo finale tre miliardi ed ottocento delle vecchie lire. Il 6 ottobre 2004 accade una tragedia: un giovane sub professionista barese in immersione insieme con un compagno,nelle acque vicine al relitto, perde la vita. Nel rapporto dei vigili del fuoco, dopo il recupero del cadavere, viene enfatizzata la pericolosità delle cime del relitto ( una di queste avrebbe trattenuto il corpo del giovane sul fondale). Proprio a causa dei presunti “pericoli costituiti dai molteplici residui di reti e di cime impigliate nelle sovrastrutture del relitto”, il Comandante della Capitaneria di Porto di Reggio Calabria, Domenico Picone, il 12 novembre 2004 con una nuova ordinanza - che abroga e sostituisce la precedente del 1995 - dispone il divieto generale di pesca subacquea e di immersioni nello specchio di mare che custodisce la Laura C. Successivamente viene abrogata e sostituita con un’altra per permettere le immersioni a scopo scientifico dei sommozzatori dei Vigili del Fuoco.

LA PROPOSTA DI LEGAMBIENTE: FARE DI SALINE UN SIMBOLO POSITIVO INVESTENDO SUL TURISMO SOSTENIBILE E SULLA QUALITA’

Saline, che è stato per tanti anni simbolo negativo di scelte miopi e di investimenti fallimenti, può oggi diventare simbolo positivo di uno sviluppo rispettoso della storia e del senso dei luoghi, capace di creare “buona” economia e lavoro pulito e di qualità. Una sorta di ricucitura rispetto allo strappo della memoria, di riconciliazione storica tra l’uomo e la natura. C’è questo sogno racchiuso nella proposta che Legambiente avanza. Nasce dalla constatazione delle rilevanti specificità e potenzialità ambientali, territoriali storico-paesaggistiche e culturali che l’area, nonostante gli scempi, possiede. La bellezza del litorale, il fascino irresistibile di Pentadattilo, il paese delle “cinque dita”, che è qui a due passi, le piantagioni di bergamotto, i luoghi segnati dalla avventura garibaldina, i riti e i miti, la vivacità dei giovani che hanno voglia di fare: sono solo l’annuncio di un progetto più ampio tutto da costruire. La “cattiva” industrializzazione, prima che un investimento rivelatosi fallimentare sul piano economico ed occupazionale, è stato un atto di violenza proprio rispetto alla natura dei luoghi, un tradimento della predisposizione di un’area, un incidere negativamente sul suo dna. Per questo oggi crediamo che ogni nuova ripartenza non può che poggiare sull’interrogare i luoghi e gli abitanti, assecondandone le vocazioni e le attese per troppo tempo sopite.

IL PARCO MARINO LAURA C

La Laura C non è soltanto la nave del tritolo e dei misteri. E’ soprattutto un tesoro nascosto da godere. In questi 64 anni dal suo affondamento, la Laura C è diventato parte di un habitat originale e meraviglioso, particolarmente ricco sotto l’aspetto biologico. Una corazza di legno e metallo che si adorna dei colori delle spugne e delle ascidie; la casa per centinaia di pesci delle specie più varie: cernie, dentici, barracuda mediterranei, ricciole, che qui avevano trovato condizioni ideali per vivere e riprodursi. Le sue strutture hanno assunto la funzione d impalcatura di una fantasmagorica scenografia naturale della flora marina: uno spettacolo irripetibile. Per questo subacquei di ogni nazionalità, naturalisti o ricercatori, hanno fatto tappa obbligata a Saline per immergersi nelle stive del mercantile affondato. Una emozione a cui non ha saputo resistere nemmeno il mitico Jacques Yves Cousteau, che l’ha visitato da “cima a fondo”. Numerosi sono peraltro i diving center (centri di immersione subacquea) sorti in provincia di Reggio che hanno fatto della Laura C uno dei riferimenti obbligati, forse il principale. La storia un po’ sinistra della nave aggiunge un tocco in più di avventura e trasgressività che non guasta. Ecco che è quasi automatico pensare a fare di questo luogo un’oasi naturalistica in piena regola, sancendo per legge quello che è già percepito nella realtà. L’iniziativa si inquadra in un programma più generale di valorizzazione ambientale e turistica della Calabria.

L’ISTITUZIONE DELLE AREE MARINE PROTETTE

Le aree marine protette sono istituite ai sensi della legge n. 979 del 1982 ( Disposizioni per la difesa del mare), dalla legge quadro n. 394 del 1991, e con Decreto Interministeriale, che contiene la denominazione e la delimitazione di ciascuna area, gli obiettivi e la disciplina di tutela cui è finalizzata la protezione. Sono costituite da ambienti marini, dati dalle acque, dai fondali e dai tratti di costa prospicienti, che presentano un rilevante interesse per le caratteristiche naturali, geo-morfologiche, fisiche, biochimiche con particolare riguardo alla flora e alla fauna marine e costiere e per l'importanza scientifica, ecologica, culturale, educativa ed economica che rivestono. In particolare in ogni area vengono individuate tre zone a diverso grado di tutela, per ciascuna delle quali sono previste e regolate le diverse attività legate al mare. Ad oggi, in Italia, le aree marine protette istituite ai sensi delle citate leggi sono 20 (vedi cartina) e tutelano complessivamente circa 184 mila ettari di mare e circa 580 chilometri di costa. In Calabria l’unica area marina protetta e’ quella di Capo Rizzuto. Una in via di costituzione, su proposta di Legambiente e intervento della Provincia, è quella della Costa Viola.

PARCHI MARINI: UNA PROSPETTIVA PER LA CALABRIA, A PARTIRE DA SALINE

Per il turismo tanto invocato e la valorizzazione ambientale tanto declamata, la costituzione di parchi marini e aree protette può essere una grande occasione, anche perché per il turista subacqueo la nostra regione può rappresentare una vera scoperta. Oltre che, infatti, “terra delle grandi sorprese”, per riprendere la definizione del noto “archeologo del piccone” Orsi, essa è senza dubbio anche “mare dalle grandi sorprese” Un vero paradiso sommerso che presenta grandi “vantaggi competitivi” rispetto alle mete tradizionali dei sub ( Mar Rosso e Maldive): si trova in Italia, quindi è una meta facilmente raggiungibile e relativamente economica; inoltre presenta una varietà di richiami unici (dallo Ionio al Tirreno e allo Stretto), si integra perfettamente con altre forme di turismo, a partire da quello culturale. Il parco Laura C potrebbe “fare sistema” con la città di Reggio Calabria ma anche con il Parco nazionale d’Aspromonte, la Costa Viola e quanto di meglio la provincia offre. Potrebbe inserirsi anche nel “sistema di oasi naturalistiche all’interno dei relitti”, progetto avviato qualche anno addietro dalla Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria. La gestione dell’area protetta e la regolamentazione del flusso turistico dovrà essere obbligatoriamente affidata a specialisti del settore, dando così impulso a professionalità che già oggi in loco ci sono e potrebbero essere incrementate. La prima iniziativa utile in direzione della costituzione dell’Oasi marina protetta dovrebbe essere la bonifica delle strutture del relitto, con la rimozione dei molteplici residui di reti e cime impigliate. A seguire si dovrà provvedere ad una azione mirata di ripopolamento di specie betoniche, pelagiche e di altre scelte per la colonizzazione delle strutture del relitto. Infine va serenamente ripresa l’idea di una bonifica integrale della stiva di poppa della Laura C, eliminando definitivamente quell’inquietante presenza (tritolo) che, cementificato o no, rappresenta una macchia ed una remora. Va rimarcato come, in conseguenza dell’ultima ordinanza della Capitaneria che ha posto un divieto rigido, nella zona si è registrata una notevole diminuzione della presenza di subacquei, che in tempi passati effettuavano molte immersioni sul relitto.

LA BONIFICA PRIMO PASSO

Noi vogliamo che, a partire da subito, quel tratto di mare possa tornare ad essere meta di quel turismo perduto. E’ questo il senso della richiesta di autorizzazione presentata alla Capitaneria dal responsabile mare del nucleo subacqueo di Protezione Civile Scuba Point, che fa riferimento a Legambiente: intervento di pulitura del relitto dai molteplici residui di reti e di cime impigliate insieme ad un monitoraggio documentale per mezzo di apparecchiature video subacquee, al fine di poter valutare le condizioni ambientali del relitto alla data odierna. Questa attività sarebbe preziosa per rilevare eventuali cedimenti strutturali tali da rendere vano il lavoro di cementificazione e messa in sicurezza eseguito. Scoraggiante la risposta della Capitaneria: ”Non si ravvisano allo stato attuale interessi pubblici o privati prevalenti, che consentono di derogare ai suddetti divieti al precipuo scopo della tutela e prevenzione del superiore interesse della pubblica e privata incolumità, rispetto al quale la pulizia della motonave, al fine ultimo del monitoraggio ambientale della stessa, non può che degradare al rango di interesse meramente ludico-sportivo, al quale non si può derogare. Né, d'altro canto, può dirsi che l'attività di pulizia di quel sito, che non sia fine a se stessa bensì preordinata al conseguimento di ulteriori eventuali scopi meritevoli di tutela, sia stata richiesta a codesta associazione da taluna Amministrazione Pubblica o Ente Privato riconosciuto, depositario della funzione di tutela di quegli ulteriori eventuali scopi, cui si faceva cenno”. Una risposta da noi giudicata poco convincente. Forse però anche la nostra proposta si presentava un poco fragile tanto da apparire velleitaria. Per questo abbiamo lavorato ad approfondire la questione e a dare al nostro progetto contorni e caratteristiche più definiti. Per esempio abbiamo pensato ad un coinvolgimento del Dipartimento Nazionale Protezione Civile con cui strettamente la nostra Associazione collabora e abbiamo avviato nuovi positivi contatti con la Capitaneria di Porto, dimostratasi attenta e disponibile. Prende corpo l’idea di procedere alla bonifica del relitto nell’ambito della campagna nazionale “Puliamo il Mondo” programmata per l’autunno prossimo.

L’OASI FAUNISTICA “LAGHETTO DI SALINE” SITO DI INTERESSE COMUNITARIO

Sicuramente da inserire organicamente all’interno del parco marino, che può avere una proiezione terrestre, è il così detto Laghetto di Saline. Si tratta - come è scritto nei documenti ufficiali del Ministero dell’Ambiente - di una importantissima zona umida costiera per l’avifauna migratoria che risale la penisola italiana e vi sosta. E’ questa peraltro l’unica zona umida nella Calabria meridionale. All’eccezionale valore fa da contrappunto l’alto grado di vulnerabilità. Il laghetto è infatti ubicato proprio all’interno dell’area industriale. Già una parte di esso venne a suo tempo sacrificato sull’altare del sogno industriale. Il rischio di un suo interramento incombe, nonostante l’appassionata campagna di sensibilizzazione degli ambientalisti. Il Comune di Montebello, di cui Saline fa parte, aveva ottenuto circa quattro anni fa dalla Regione i primi 150 milioni di vecchie lire per realizzare le prime azioni sull’area, individuata anche quale oasi di protezione della fauna sulla base della legge regionale 9 del 1996. La gestione del Sic - non essendoci stata alcuna specifica indicazione della Regione - dipende dalla Amministrazione Provinciale che, al di là delle buone intenzioni, fino al momento non ha attivato alcuna azione concreta. L’ipotesi di unire all’interno di un unico progetto di protezione fauna marina e terrestre, habitat marino e habitat lacustre appare suggestiva e del tutto percorribile.

RILANCIARE LE OFFICINE GRANDI RIPARAZIONI

Deve diventare un punto qualificante dell’azione di discontinuità della nuova classe dirigente governativa nazionale e regionale in coerenza con gli annunci in campagna elettorale. Un rovello ed una scommessa su cui puntare per le ricadute concrete in termini occupazionali ed economiche ma anche per il carattere evocativo che il rilancio di una industria “pulita” e “possibile”, legata al sistema di trasporto sostenibile, collocata nel Mezzogiorno, produrrebbe.

LA RICONVERSIONE SOSTENIBILE DELL’EX AREA INDUSTRIALE DI SALINE

E’ il punto decisivo e più importante della nostra proposta. Bisogna rinunciare definitivamente ad evocare fantasmi e bisogna schiudere uno scenario nuovo. Vanno programmati nell’area una serie coordinata di investimenti nel settore turistico legato al mare e alla sua cultura, ma anche alle risorse del territorio. Il tutto dovrà scaturire da una concertazione tra il Pubblico(Regione, Provincia, Comune, Ministero dell’Ambiente) ed i privati, a partire dalla SIPI che dell’area è proprietaria. Insieme alle organizzazioni sindacali e sociali. Parte dell’area può essere utilizzato come giardino botanico capace di raccogliere le specie più significative del Mediterraneo. Altri lotti possono diventare parco giochi e centri di impiantistica sportiva. Una straordinaria opportunità è quella di utilizzare alcune delle strutture e dei silos industriali per realizzare un parco per le energie alternative che serva come luogo di produzione ma soprattutto di sperimentazione delle varie applicazioni tecnologiche che la ricerca avanzata in questo campo propone. Tale iniziativa darebbe l’opportunità di un coinvolgimento dei centri di ricerca, delle imprese, delle Università. Non va trascurato il significato che ne deriverebbe sul piano culturale Lo stesso parco giochi potrebbe avvalersi dell’utilizzo delle fonti energetiche attraverso la realizzazione di attrattive capaci di abbinare divertimento a educazione scientifica ed ambientale. Un’idea suggestiva, in cui crediamo molto, è quella di convogliare capitale privato e pubblico per realizzare a Saline l’Acquario del Sud, ispirandosi alla esperienza dell’Acquario di Genova. Affiancato ad esso un Museo di Biologia Marina. Naturalmente fondamentale diventerebbe la ricostruzione di un rapporto “dolce” con il litorale e la saldatura con la rete di piste ciclabili che da Saline può portare ben oltre Melito e di cui una parte è stata già progettata. Il tutto dovrebbe essere completato da un corollario di strutture e servizi a scarso impatto. Il porto va ricostruito nella sua struttura ed utilizzato prioritariamente come porto turistico, collegandolo ad una rete di approdi, in modo da favorire gli scambi. Le infrastrutture hanno già un grado di predisposizione per la nuova funzione: si tratta soltanto di organizzarle. La nautica da diporto offre possibilità occupazionali considerevoli. La fruibilità turistica del porto metterebbe in circuito le località affascinanti della ionica, a partire della perla straordinaria e preziosa Pentidattilo. Naturalmente, condizione primaria perché il progetto di rilancio di Saline, del suo territorio e del suo mare, è quella di fermare gli scempi annunciati. Bisogna vigilare e contrastare i numerosi progetti devastanti che, a Saline come altrove, si presentano e si rappresentano come progetti al servizio dello sviluppo turistico e nella realtà invece sono progetti devastanti a grande impatto ambientale e a scarsa ricaduta sociale che andrebbero a stravolgere ulteriormente il territorio costiero ionico piuttosto che valorizzarlo.

Comunicato stampa Legambiente

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postato da Bernardino F.L. Cardenas; alle 12:54 PM,

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