Una donna e il coraggio di dire “no”
lunedì 14 novembre 2005
Una donna coraggiosa di nome Vladimira. Papà Nicola e mamma Rosaria hanno saggiato la fatica del lavoro, hanno conosciuto al lotta di classe e hanno voluto che la loro figlia portasse il nome di un grande rivoluzionario, Vladimir Lenin. E non è un caso che l’altro loro figlio si chiami Ernesto. Si, Ernesto, come Ernesto Che Guevara, colui che esortava ad essere “capaci di sentire qualunque ingiustizia commessa contro chiunque, in qualunque parte del mondo”. Vladimira è donna, madre e moglie coraggiosa. Da anni al fianco del marito Pasquale, un uomo che nonostante i dodici attentati subiti dalla sua azienda a Soriano Calabro, la “Varì Vimini”, non ha mai accettato di piegarsi, né di spezzarsi di fronte all’arroganza del racket delle estorsioni. E Vladimira è sempre stata al suo fianco, invitandolo a non mollare, anche quando la ‘ndrangheta, incendiando per la dodicesima volta la loro azienda, ha messo a rischio, ancora, i sacrifici di una vita intera. Pasquale Varì è il marito schivo, riservato, che va avanti senza mai arretrare, sempre a testa alta. Vladimira Pugliese è la moglie capace di dare coraggio, che accetta di parlare di fronte alle telecamere delle grandi emittenti nazionali, che dopo anni di colpevole disattenzione si sono accorte del dramma che vive la Calabria. La storia di Pasquale e Vladimira sembra una delle tante storie vissute nella Calabria del racket e della ‘ndrangheta. In realtà, però, è una storia rara. E’ la storia dei una famiglia che crede nello Stato e nelle sue istituzioni. Nonostante tutto. Principalmente per dare speranza ad un bambino, il piccolo Nino, affinché questi possa crescere in una terra diversa, migliore, senza più paura.
Vladimira, a suo avviso Vibo è diversa da Locri?
“A Vibo forse si avverte una minore densità criminale. Qui si ammazza di meno. C’è un tipo di criminalità organizzata diversa, che prova a ucciderti diversamente”.
La sua famiglia ha subito dodici attentati. Avete subito richieste estorsive?
“La matrice è chiaramente estorsiva. Siamo stati raggiunti da alcune telefonate, dopo gli attentati, da parte di anonimi che ci dicevano <>”.
Quindi?
“In sostanza dovevamo capire che era il caso di trovare qualcuno a cui chiedere protezione”.
E voi cosa avete fatto?
“Abbiamo denunciato tutto alle forze dell’ordine”.
Finora cosa è cambiato?
“In sostanza nulla. Abbiamo avuto danni per circa 3 miliardi delle vecchie lire, solo in minima parte indennizzati dal fondo antiracket”.
E lo Stato?
Abbiamo toccato la presenza dello Stato che ha provato a sostenerci, anche se non sono mai stati individuati i responsabili degli atti intimidatori subiti”.
Ma lei crede nello Stato?
“Il problema non riguarda le forze dell’ordine e le autorità presenti sul nostro territorio, in loro credo. Non credo invece nello Stato centrale, quello che non garantisce uomini e mezzi, che non assicura la benzina alle auto che devono pattugliare il territorio e il toner per le fotocopie degli atti nelle procure. E’ in questo Stato che non credo, quello che taglia la spesa sociale, che lascia un magistrato come Marisa Mancini senza una scorta, che abbandona alla solitudine testimoni di giustizia come Masciari e Musella. E’ questo Stato che d’ora in avanti deve dare segnali diversi per ridare speranza a questa terra”.
Finalmente sulla Calabria si sono accesi i riflettori…
“Ed è grave che questo sia accaduto solo dopo la morte di Francesco Fortugno. Se si fosse affrontato prima il “caso Calabria” forse quest’omicidio si sarebbe potuto evitare. Quante persone sono state uccise in Calabria negli ultimi anni, quanti attentati, intimidazioni…Eppure si è avuta l’impressione che il sangue dei calabresi fosse diverso, che valesse meno. Adesso finalmente qualcuno si è accorto cha la Calabria esiste. Meglio tardi che mai. Speriamo che quest’attenzione rimanga e non si spenga. La mia più grande paura è che presto torneremo soli”.
Cosa bisogna fare per cambiare le cose?
“In Calabria il problema è complesso. Bisogna risanare gli strati sociali. Servono investimenti e occupazione. La ‘ndrangheta per la sua manodopera attinge nella disperazione della gente. Se si cancellerà la disperazione, si potrà veramente combattere il fenomeno ‘ndrangheta”.
Che ne pensa dell’utilizzo dell’esercito?
“Ne vengano dieci, cento, mille eserciti. Lo Stato deve dimostrare, in un modo o nell’altro, che vuole affrontare il problema. Abbiamo bisogno tutti di sentirci meno soli, più protetti”.
Spesso, però, si accusano i calabresi di omertà, di non collaborare…
“Non sopporto quando si parla di omertà. Spesso è un alibi che lo Stato assume per scaricare le proprie responsabilità, le proprie inefficienze. E’ lo Stato che è omertoso, che non vede, non sente e non parla. Falcone diceva che non si possono pretendere atti di eroismo da inermi cittadini. Per combattere la mafia è necessario invece che lo Stato investa i suoi uomini migliori e le sue migliori intelligenze. Io dico che Falcone aveva ragione. Mi domando, però, se ci sia la volontà concreta di affrontare questo investimento”.
Si legge un velo di pessimismo in questa riflessione. A suo giudizio forse non si vogliono concretamente cambiare le cose?
“Diciamolo chiaramente, negli anni ad una certa classe politica ha fatto comodo questo stato di cose. La ‘ndrangheta ha assicurato grandi bacini di voti ai quali difficilmente si rinuncia”.
Quindi?
“Quindi mi sembra difficile che una certa classe politica si adoperi per realizzare interventi strutturali al fine di risolvere un problema per cui serve una riforma del codice penale e la certezza della pena. Serve un nuovo spirito da parte di tutta la classe politica, altrimenti è la fine”.
Ha paura?
“E come si fa a non averne? Fare politica e impresa oggi vuole dire esporsi. Però bisogna decidere da che parte stare, perché qui o si collude o convive o ci si ribella. E chiunque, per motivi diversi, rischia di pagare. Ma se fossimo tutti a ribellarci, nonostante la paura, potremmo davvero vincere questa battaglia”.
Lei ha partecipato alla marcia di Locri?
“No, ero a Pisa perché mio figlio ha dovuto subire una piccola operazione. Con il cuore, però ero insieme a quei ragazzi. Li ho visti in televisione, erano straordinari. Mi sono commossa. Loro sono il nostro presente e il nostro futuro e se continueranno a marciare senza fermarsi dico che possiamo vincere, ce la possiamo fare”.
Vladimira, lei è anche impegnata in politica, guida la sezione dei DS di Soriano Calabro. Al suo fianco si sono mobilitati anche gli onorevoli Fassino, Minniti, Soriero, il senatore Iovene, lo stesso segretario provinciale De Luca che oggi vive scortato. Cosa dice al suo partito?
“Dico grazie. Dico che non ha fatto sentire sola la mia famiglia. Dico pure, però, che adesso tocca a noi. Adesso dobbiamo iniziare a lavorare con ancora maggiore determinazione. Questa è una battaglia dura, lunga, difficile. Ma se saremo determinati, se ci crederemo, assieme a tutte le anime sane che ci sono in Calabria, indipendentemente dal colore politico, noi tutti potremo vivere un domani migliore, senza avere mai più paura”.
Tratto dal “Quotidiano della Calabria”
postato da Anonimo; alle 9:25 PM,