Montebello Jonico in lutto per l'uxoricidio di Orsola Nicolò
martedì 23 settembre 2008
Ho conosciuto la signora Orsola appena un mese fa, a Cucullaro di Gambarie, in occasione del soggiorno sociale che ogni anno la Piccola Opera Papa Giovanni organizza per dare la possibilità ai giovani con disabilità di vivere una settimana di vacanza con i loro genitori e con i volontari.
Ignoravo il dramma che si portava dentro.
Probabilmente per Lei che era venuta con il figlio disabile al soggiorno è stata questa l’ultima occasione per vivere giorni di serenità e di amicizia, condividendo con altri genitori momenti di svago diversi da quelli che da tempo era costretta a sopportare.
Oggi l’ho ritrovata all’obitorio degli Ospedali Riuniti di Reggio, con accanto i suoi parenti distrutti dal dolore ma anche indignati per quanto le istituzioni che dovevano proteggerla potevano fare e non hanno fatto.
Dal colloquio avuto con i parenti emerge il vero e proprio calvario che questa donna ha dovuto sopportare, indifesa, alla mercè di un uomo violento e senza scrupoli.
Tra le cose che ho sentito una mi è rimasta impressa e mi ha indignato.
Alla richiesta di fare revocare il porto d’armi al marito che continuava a dire che prima o poi l’avrebbe ammazzata, una delle risposte date è stata: ma tanto signora se vi vuole ammazzare non deve per forza usare la pistola, potrebbe anche utilizzare il coltello.
Il suo dramma, la sua tragica fine, si proietta ora su i suoi figli e sul futuro che li attende.
Per questo è necessaria una grande solidarietà delle istituzioni e della comunità tutta per creare condizioni in cui possano crescere in un ambiente familiare che li protegga e li accompagni per tutta la vita, dando loro l’affetto e la sicurezza di cui hanno estremamente bisogno.
La Regione nella persona del Suo Presidente Loiero, potrebbe da subito pensare a degli interventi a sostegno di quello che sarà il progetto che Tribunale per i Minorenni e Servizi Sociali dovranno pensare per loro.
Allo stesso modo le varie espressioni della società civile ed ecclesiale sono chiamate a fare la loro parte per esprimere vicinanza e solidarietà concreta.
Per fortuna vi sono degli zii dei bambini che vogliono farsi carico di loro accogliendoli nella loro famiglia come figli.
Certamente il Tribunale per i Minorenni che dovrà adottare i provvedimenti per il loro affidamento terrà conto della loro disponibilità e della idoneità a farli crescere ed educare.
Ma il dramma della signora Orsola, l’ennesimo che vede una donna vittima di una violenza inaudita, non può passare sotto silenzio.
Il rischio è quello che il problema fin dai prossimi giorni scompaia dalla cronaca per riapparire magari più in là per altri fatti analoghi.
Forse è venuto il momento di pensare a forme di prevenzione e tutela diverse per le donne e per i loro bambini che vivono questa condizione.
I centri anti violenza già funzionanti e gli altri che la regione proprio in questi giorni sta attivando grazie alla legge regionale voluta dalla Consigliera Liliana Frascà svolgono una azione meritoria ma non possono bastare.
C’è bisogno di pensare a dei veri e propri programmi di protezione simili a quelli che si attivano per i testimoni di giustizia, per le donne che hanno denunciato le violenze del coniuge e che addirittura, come nel caso della signora Orsola, sono state costrette addirittura a ricorrere all’ospedale a seguito delle percosse subite.
Un programma di protezione che non sia delegato solo alle forze dell’ordine ed alla magistratura ma che va accompagnata da idonei interventi sociali come quello della mediazione familiare, del sostegno psicologico e giuridico che i centri anti violenza potrebbero garantire a condizione che siano presenti e radicati non solo nelle grandi città ma anche nei piccoli centri come nel caso di Montebello Ionico.
Aspetto fondamentale è quello legato all’autonomia economica e lavorativa di queste donne ed alla possibilità per chi vuole di trasferirsi in una nuova abitazione per sottrarsi alle minacce.
Alcuni strumenti legislativi già ci sono, altri potrebbero essere attivati alla luce anche di altri fatti simili accaduti in altre parti del Paese.
Certamente una cosa è certa: non si possono lasciare sole le donne e i loro figli a gestire questi conflitti per poi meravigliarsi e rimanere angosciati per quanto la cronaca ci rimanda con crudezza, come un pugno nello stomaco.
Aiutare queste donne a rompere il muro del silenzio e della paura, dare loro opportunità concrete ed alternative alla vita infernale che sono costrette a vivere è un dovere inderogabile di tutte le istituzioni e della comunità calabrese e nazionale.
Presidente Centro Comunitario Agape
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postato da Miguel Cervantes; alle 11:07 PM,