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L’8 marzo dedicarlo ad Anna Politkovskaja

In questo 8 marzo, festa internazionale delle donne, voglio ricordare una donna che non c’è più, una giornalista.
Anna Politkovskaja, uccisa nell’ascensore di casa sua e i cui presunti assassini sono stati tutti assolti.
Lei donna, estranea ad ogni guerra e appartenenza patriottica aveva fatto della sua penna di cronista della guerra in Cecenia, lo strumento di svelamento della verità e di messa a nudo delle menzogne, considerate, da sempre, da chi le guerre le fa, una virtù ed una necessità.
Ricordare, in questo giorno, la sua vita, le sue scelte, le sue passioni, il suo essere giornalista, è un modo non solo per rendere omaggio alla donna e alla cronista, ma anche per dare senso alla sua morte.
Anna Politkovskaja era nata nel 1958 a New York, dove i suoi genitori ucraini erano diplomatici sovietici all’Onu.
Fu rimandata in Russia per studiare e, dopo la scuola, è entrata nella facoltà di giornalismo dell’università statale di Mosca, una delle più prestigiose dell’Urss.
Qui aveva potuto consultare libri che all’epoca erano al bando, grazie allo status diplomatico dei suoi genitori, e aveva potuto scrivere una tesi di laurea su una poetessa quasi proibita, l’emigrata Marina Cvetaeva.
Dopo la laurea, Anna ha lavorato prima per il quotidiano “Izvestija” e poi per il giornale della linea aerea “Aeroflot”.
“I giornalisti – racconta – avevano biglietti gratis tutto l’anno: potevano prendere qualsiasi aereo e andare dove volevano. Ho girato in lungo e in largo il nostro enorme paese. Venivo da una famiglia di diplomatici, ero una lettrice accanita, un po’ secchiona. Non sapevo niente della vita”.
Quella vita che amava e la rese cronista onesta e curiosa, donna appassionata della sua libertà e del suo lavoro.
Con l’arrivo della perestrojka, passa alla stampa indipendente e non può non essere felice.
“Da un punto di vista economico la vita diventò molto difficile”, racconta, “ma politicamente fu tutt’altro che uno shock. Era pura felicità, quella di poter leggere, pensare e scrivere tutto ciò che volevamo. Era una gioia. Bisognava essere disposti a sopportare molto, anche in termini di difficoltà economica, per amore della libertà”.
Di lì a poco i nuovi paesi dell’ex Unione Sovietica si sfaldano e scatenano guerre intestine.
Anna segue sin dall’inizio la guerra più feroce, quella per la riconquista del controllo della piccola regione della Cecenia, costata la vita a 200 mila persone.
Amante della pace e libera da ogni sentimento di patriottismo, ne diventa una delle croniste più tenaci e più appassionate.
Nel parlare delle due guerre cecene – la prima, dal 1994 al 1996 sotto la presidenza di Eltsin, e la seconda del 1999, sotto Putin – Anna ritiene che se fermare la prima è stato il maggiore successo dei reporter russi, la seconda è stata il loro più grande disastro.
All’epoca Putin, infatti, cercò di impedire che i giornalisti raccontassero i misfatti russi in Cecenia.
E’ quello che fece, invece, Anna Politkovskaja fino a quando la sua vita non venne spezzata per mano assassina.
A lei, madre di due figli, la seconda guerra cecena è costata innanzitutto il suo matrimonio.
Un giorno del 1999 dopo un reportage su un attacco russo a Grozny in cui erano stati colpiti un mercato e un reparto di maternità ed erano rimaste uccise decine di persone, tra cui donne e bambini, tornò a Mosca e il marito le disse: “Non ce la faccio più a sopportare tutto questo”.
Qualche mese prima aveva rischiato la vita quando, in viaggio, come negoziatrice, verso Beslan, subito dopo il sequestro degli ostaggi nella scuola, qualcuno le aveva versato del veleno in una tazza di tè.
In quegli anni ricevette molte minacce di morte da soldati russi, combattenti ceceni e altri gruppi armati.
Era convinta che fossero proprio le scelte politiche di Putin ad alimentare il terrorismo ed ebbe parole dure verso l’occidente.
“Com’è possibile – scrive – parlare del mostruoso numero di vittime e del terrorismo in Cecenia, e poi stendere un tappeto rosso davanti a Putin, abbracciarlo e dirgli “Noi siamo con te, sei il migliore?”. Questo non dovrebbe succedere. Capisco che il nostro paese è un grande mercato, che è molto allettante. Me ne rendo perfettamente conto.
Ma noi non siamo persone di serie B, siamo gente come voi, e vogliamo vivere”.
Anna Politkovskaja voleva vivere e l’hanno assassinata.
In questo 8 marzo questo mio ricordo lo depongo simbolicamente sulla sua tomba, come una mimosa, il fiore di riconoscimento tra donne.

Franca Fortunato

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postato da Miguel Cervantes; alle 12:10 AM,

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