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Ci siamo gettati tra le macerie

Un medico calabrese ricorda il momento dei primi soccorsi ad Onna
Sono calabrese ma vivo a Roma dal 1994, ovvero da quando sono stato costretto a partire dalla mia terra per studiare.
Il 6 di aprile alle 3 e 30 di mattina sono stato svegliato dalla forte scossa avvertita anche a centinaia chilometri di distanza.
Immediatamente ho acceso la tv e ho cercato notizie tramite internet, ma ancora la reale portata della catastrofe non era stata percepita.
Poche ore dopo, a seguito di un giro di telefonate con i colleghi e con la centrale operativa del 118, ho deciso di partire per L’Aquila con il collega, dr. Danilo Palermo, con un’ambulanza ed un’auto medica.
Durante i primi minuti di viaggio era molto forte l’entusiasmo per la voglia di potersi rendere utile.
Tuttavia, il forte entusiasmo era alimentato solo dall’inconsapevolezza dello scenario che di lì a poco si sarebbe presentato ai miei occhi.
Abbiamo fatto scalo alla centrale operativa del 118 di Rieti e da lì, dopo un brevissimo briefing, siamo stati inviati ad Onna, frazione de L’Aquila.
Fino ad allora Onna mi era totalmente sconosciuta, ma da oggi non si cancellerà mai più dalla mia memoria.
Il collega del 118 inviò il nostro piccolo gruppo anticipandoci solo che sul posto non c’erano ancora né sanitari, né presidi medici e ambulanze.
Durante il tragitto da Rieti ad Onna, a mano a mano che telefonicamente cercavo di raccogliere informazioni tramite i colleghi, gli amici e i parenti che nel frattempo apprendevano le notizie dai telegiornali e da internet, l’entusiasmo che ci aveva animato alla partenza si trasformava in angoscia.
Siamo arrivati ad Onna alle circa 8:00 del mattino, cinque ore dopo la prima scossa e lo scenario che si è aperto ai nostri occhi quando abbiamo attraversato quello che rimaneva del paese era apocalittico.
Le case erano ridotte ad un ammasso di detriti e gli abitanti vagavano da ore nel panico o erano letteralmente barricati nelle poche macchine che non erano rimaste schiacciate sotto le macerie.
I primi ad arrivare erano stati i vigili del fuoco che già da ore si adoperavano per estrarre i corpi.
Appena scesi dall’ambulanza è bastato solo uno sguardo con i miei colleghi per capire che quello sarebbe stato il giorno più lungo della nostra vita.
Ci siamo gettati immediatamente tra le macerie, fianco a fianco con i vigili del fuoco con la speranza di salvare qualcuno.
Senza avere gli strumenti e l’attrezzatura adeguata, scavando anche con le mani protette solo dai sottilissimi guanti in lattice.
Con il passare del tempo l’entusiasmo si era trasformato in terrore.
Ho nascosto le lacrime miste alla polvere e al fango quando sono stato costretto a consegnare il piccolo corpo di una bimba alle braccia della propria madre.
Era anche mio compito infondere sicurezza a chi ancora sperava che venissero estratti vivi dalle macerie i propri congiunti, gli amici o semplicemente i vicini di casa.
Non potevo alimentare la disperazione dei superstiti con le mie lacrime.
Con il passare del tempo il campo adiacente al paese era diventato il tragico ricovero di fortuna dove ognuno poteva piangere i propri cari adagiati sulla terra nuda e avvolti solo dalle poche lenzuola che eravamo riusciti a recuperare dalle ambulanze.
Senza che mi rendessi conto sono passate le ore e, al calare del sole, una fortissima grandinata contribuì a complicare le operazioni.
A mezzanotte abbiamo estratto il trentasettesimo corpo, quello di un ragazzo poco più giovane di me.
A quel punto i miei nervi hanno ceduto.
Anche se nel frattempo era sopraggiunto il cambio, avevo scelto di rimanere per permettere che le operazioni di identificazione e di constatazione di decesso si svolgessero senza sovrapporsi all’intervento medico praticamente continuo sulla popolazione.
Ho sentito il bisogno di nascondermi per piangere ancora e, solo a quel punto, è sopraggiunta la fame, la sete, la stanchezza, il dolore.
Perché ho sentito il bisogno di scrivere?
Intanto perché sono fiero di essere calabrese ed ho apprezzato fortemente il supporto di tanti volontari che in questi giorni hanno lasciato le loro case in Calabria per venire a portare aiuto e solidarietà incondizionata.
I calabresi sanno distinguersi ed eccellere anche nell’altruismo come nella professionalità.
Ho ritenuto, altresì, importante scrivere per sottolineare l’importanza del rispetto delle norme e delle più basilari regole in materia di edilizia, affinchè queste tragedie non si ripetano mai più.
Affermare che è possibile prevedere un terremoto di queste dimensioni, significa solo scatenare una polemica sterile.
Di contro, si deve operare in modo tale da prevenire tutte queste inutili morti.
Solo attraverso il rispetto delle regole antisismiche è possibile evitare che si ripeta un’altra tragedia di questa portata.
Sisto Milito, medico chirurgo
(Tratto da “Calabria Ora”-Nella foto ANSA, le interminabili file di bare durante i funerali di Stato)

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postato da Miguel Cervantes; alle 10:30 PM,

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