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Il giorno in cui Pasolini scandalizzò Vibo Valentia



Il tempo corre davvero in fretta, se è vero che sono già trascorsi trentatré anni dalla morte che il 2 novembre del 1975 colpì Pasolini e l’intera cultura italiana.
Lo scrittore venne trovato ucciso in uno spazio periferico presso Fiumicino tra baracche e rifiuti.
Nel suo correre in fretta il tempo rischia di portarsi via anche i fatti più rilevanti permettendo, a chi si cimenta con le ricorrenze, di fornire una versione in parte distorta e in parte oleografica di un uomo che meriterebbe invece ben altra considerazione.
E’ stato così purtroppo per quasi tutti coloro che hanno scritto su Pasolini e su quella tragica giornata riproponendoci tante favole.
Lui, ne “Il romanzo delle stragi” diceva: "Io so. Ma non ho prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia, il mistero”.
La scomparsa di Pier Paolo Pasolini, non è la scomparsa di un intellettuale, di uno scrittore qualsiasi, ma la scomparsa di una storia, di una generazione di uomini e di Poeti militanti che, con il proprio operato hanno segnato un pezzo importante di storia politica e culturale del nostro Paese
Se ne è andato davvero un pezzo importante del Novecento democratico di questo Paese.
Certo si rischia di essere retorici ricordando una stagione che adesso sentiamo davvero tramontata con Pier Paolo Pasolini, specialmente chi come noi giovani studenti hanno avuto la fortuna di ascoltarlo in qualche bar di Monteverde assieme a Ninetto Davoli.
Poeta, scrittore, regista, giornalista prestigioso ed inquieto.
Molte cose sono state scritte e saranno scritte in futuro su di lui.
La cultura del secolo scorso è stata notevolmente influenzata dal pensiero di Pier Paolo Pasolini: dallo scontro tra passione e ideologia, tra neocapitalismo corruttore e desistenza rivoluzionaria, queste sono le battaglie contro e senza speranza in quanto sosteneva che il dissidio tra religiosità e marxismo porta alla separazione.
Con Pasolini si poteva discutere tutto e si poteva dire tutto perché era un uomo di grande statura morale.
Certa stampa lo ha voluto trascinare da una parte all’altra e quasi sempre lo ha classificato di sinistra e questo per la verità è falso perché fu severo con la sinistra ufficiale del tempo: raccontava storie di miserie che al senso della pietà cristiana affiancava la dimensione della tragedia esistenziale, questo sì.
Una penna libera e sapiente come quella di Barbara Spinelli ricorda di Pasolini molte virtù: “i lavori poetici e cinematografici, la libertà, i pensieri profondi sulla guerra, sulla crisi delle democrazie, sull’imprescindibile dialettica fra destra e sinistra".
Ancora i giudizi rigorosi sulla peculiare decadenza delle istituzioni repubblicane: decadenza appunto che a parere di Pasolini era cominciata negli anni ’60 con l’avvento di quel nuovo centrosinistra, che si alimentava di “democrazia” dell’applauso.
Quando parlava con gli studenti al Circolo del Cinema a Vibo Valentia o in qualche assemblea – lo ricordo come se fosse ora presente - lo faceva scandalizzando.
Quello che Pasolini diceva, lo si poteva stampare, rigo per rigo; la sua cultura e la sua dirittura politica, poetica e filosofica erano tali che ognuno doveva fare i conti con lui.
Non vi è dubbio che nel multiforme complesso della produzione di Pasolini la sua ”dottrina” politica segna nel modo più spiccato l’originalità non solo dello scrittore ma dell’uomo.
Poesie, lettere, polemiche, interventi nel dibattito politico e culturale di quegli anni.
Nico Naldini, suo cugino scrittore, nella sua biografia così scriveva: ”la figura pubblica di Pasolini che si è andata via via costruendo, anche contro i suoi desideri, continua ad esporlo ad ogni sorta di attacchi, dai quali non si ripara mai, anzi egli stesso li provoca con insistenza.
Sia che si tratti di un dibattito su un libro o della presentazione di un film , scende dalla cattedra per controbattere con lucidità ossessiva le provocazioni di quella parte del pubblico che lo confuta con un delirio di tensioni e di violenza.
Qualsiasi occasione basta scatenare l’aggressività di questo pubblico”.
Gian Carlo Ferretti, curatore dei “Dialoghi 1960-65” ci parla di un intellettuale carismatico, un autore trasgressivo, un bersaglio predestinato dai suoi scritti, dai suoi comportamenti pratici e dall’accettazione consapevole del rischio, lo scenario di quella notte…un delitto omosessuale o politico che rimanda ad un clima persecutorio.
La morte di Pasolini diventa, conclude Ferretti, soltanto l’ultimo tragico episodio di quella lunga vicenda, nel pieno della stagione di massima sfida e di massimo rischio.
Il 2 novembre la morte, poi il funerale: Campo de’ Fiori con le bandiere rosse ed il discorso di Alberto Moravia che dice: “Era un grande poeta civile e non ne nascono tanti in un secolo”.
Filippo Curtosi
(Tratto dal "Quotidiano della Calabria")

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postato da Miguel Cervantes; alle 1:02 AM,

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